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Curiosità

Ametista maledetta, la maledizione di questa pietra preziosa è reale?

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Giulia De Sanctis

Conosciuta come l’“ametista maledetta”, questa affascinante e misteriosa pietra ha ispirato la trama del romanzo di Anthony Doerr, ma di cosa si tratta?

Nel romanzo Tutta la luce che non vediamo di Anthony Doerr il caos della Seconda Guerra Mondiale si riflette negli occhi della protagonista cieca ed è rappresentato da una pietra preziosa luccicante e apparentemente maledetta che si trova al centro di tutta la storia.

Questo gioiello, Mare di fiamme, elemento cruciale del romanzo, è del tutto fittizio ma si ispira a una pietra che esiste realmente e conosciuta come Zaffiro di Delhi o l’ametista maledetta.

Il suo proprietario, Edward Heron-Allen, sembra che credesse che il suo zaffiro fosse stregato: nella lettera con cui affidava la pietra preziosa al Museo di Storia Naturale di Londra l’autore la definiva terribilmente maledetta e macchiata di sangue e consigliava ai futuri proprietarli di gettarla direttamente in mare.

Ma così non venne fatto e ancora oggi il gioiello conserva l’inquietante fama di portare sventura a chiunque la tocchi. Ma questa maledizione è reale? Scopriamolo insieme.

Un’ametista maledetta

Come detto precedentemente, il gioiello e la lettera del 1904 di Heron-Allen sono tuttora conservati presso il Museo di Storia Naturale di Londra.

Foto | Wikimedia Commons @Unknown – Socialboost.it

 

Nel suo scritto, l’autore afferma che l’ametista era stata rubata nel XIX secolo dal tempio del dio Indra di Cawnpore, in India, durante un ammutinamento, quando gli indiani si ribellarono contro i coloni britannici.

Durante quella violenta insurrezione, sosteneva Heron-Allen, un ufficiale della cavalleria del Bengala, W. Ferris, prese la gemma e la portò in Inghilterra, ma poi fu colpito da continue disgrazie che toccarono anche la sua famiglia e i suoi amici, provocando suicidi, malattie e altre tragedie.

A un certo punto, prosegue Heron-Allen, la pietra entrò in suo possesso ed egli stesso subì gli effetti della sua maledizione.

Scrisse che provò a cederla e persino a neutralizzarla facendola incastonare in un gioiello assieme ad altri oggetti antichi, tra cui due scarabei egiziani e un anello che lo scrittore sosteneva fosse appartenuto a un famoso astrologo inglese.

Ma nonostante tutti i suoi tentativi di liberarsene, la pietra continuava a tornare da lui, provocando sventure ancora più grandi. Frustrato dalla situazione, Heron-Allen decise di gettarla in un canale londinese, per vedersela restituire quando il canale fu dragato.

“Sento che sta esercitando un’influenza funesta su mia figlia appena nata, perciò la chiudo dentro sette scatole e la deposito presso i miei banchieri, con l’indicazione che non deve vedere nuovamente la luce fino a quando non sarò morto da 33 anni” scrisse Heron-Allen, consigliando a chiunque sarebbe entrato in possesso della pietra preziosa di buttarla in mare.

Tuttavia, la figlia di Heron-Allen non rispettò le volontà espresse nella lettera: nel 1944, meno di un anno dopo la morte del padre, consegnò la gemma e la lettera al Museo di Storia Naturale di Londra, che custodisce anche la sua ampia biblioteca scientifica.

L’inquietante lettera e il racconto di Heron-Allen sulla potente pietra stregata sono avvincenti, ma c’è una teoria alternativa: la lettera probabilmente faceva parte di una complessa messinscena che lo scrittore stesso aveva ideato per attirare l’attenzione su Lo zaffiro viola, un racconto che aveva scritto nel 1921 sotto lo pseudonimo di Christopher Blayre.

La storia viene presentata sottoforma di manoscritto scoperto da un segretario universitario a cui venivano affidati documenti segreti da importanti studiosi.

La pietra preziosa del libro ha un passato notevolmente simile a quello della pietra descritta nella lettera di Heron-Allen: dal presunto furto fino alle sventure occorse ai suoi proprietari.

I curatori del Museo di Storia Naturale di Londra hanno suggerito che il lascito postumo di Heron-Allen fosse stato pensato per attirare l’attenzione sulla sua storia, cosa che spiegherebbe l’errata datazione dell’insurrezione avvenuta realmente a Cawnpore (oggi Kanpur), che si verificò nel 1857, e non nel 1855, come è scritto nella lettera di Heron-Allen.

“Edward Heron-Allen potrebbe aver incontrato un anziano ex colonnello o ex generale dell’esercito, o durante il suo lavoro a Londra, oppure in un club per gentiluomini a Lewes, e ascoltando i racconti sulla vita nell’esercito in India potrebbe aver deciso in seguito di trasformarli in un racconto, scrive la responsabile del marketing Amy Freeborn sul sito web del Museo di Storia Naturale – Poi, anni dopo, quando scrisse la storia, fece creare un amuleto per rendere plausibile la storia, e non potendo forse permettersi di acquistare un grande zaffiro, oppure non riuscendo a procurarselo, si accontentò di un’ametista”.

La maledizione continua?

Nel corso degli anni, lo zaffiro viola si guadagnò il nome di ametista maledetta, e ancora oggi si trova nella scintillante Vault Gallery del museo, assieme ad altre rocce e minerali famosi, tra cui uno degli smeraldi più grandi del mondo e una collezione di 296 rari diamanti colorati, conosciuti come la Aurora Pyramid of Hope.

Foto | Wikimedia Commons @Diliff – Socialboost.it

 

La pietra attualmente non è esposta, ma è stata riportata all’attenzione del pubblico grazie al bestseller di Doerr, dando origine a racconti di ulteriori disgrazie, come le disavventure di un curatore con il maltempo e numerose malattie durante il tentativo di trasportare la pietra alla riunione di una società dedicata a conservare la memoria di Heron-Allen.

“È sempre interessante fare caso al proprio comportamento in presenza di questi piccoli oggetti di valore”, ha raccontato Doerr all’American Booksellers Association nel 2014 – “Cosa c’è dentro di noi che desidera queste cose, che vi trova bellezza? E non è stata una decisione arbitraria quella di attribuire ai diamanti un così grande valore, ad esempio?”

Gli studiosi hanno versato fiumi di inchiostro per raccontare il modo in cui l’Occidente ha gestito i gioielli e gli oggetti antichi trafugati dalle terre dell’Est colonizzate durante il XIX secolo e oltre, suggerendo che le pietre preziose sono arrivate a rappresentare le ansie culturali sulle conseguenze di tali saccheggi.

I racconti di altre pietre “stregate”, come quello del diamante Koh-i-Noor, un’enorme gemma confiscata ai proprietari indiani nel 1849 e successivamente entrata a far parte dei gioielli della corona del Regno Unito, proliferavano in quello stesso periodo.

E le dicerie sulla capacità delle gemme rubate di rovinare la vita di chi le possiede vengono credute ancora ai giorni nostri, a conferma della nostra tendenza ad attribuire significati agli oggetti materiali che rivelano molto delle nostre insicurezze, interessi e tabù sociali.

Come scrive la critica d’arte Hettie Judah: “L’idea che ricchezza e potere si fondino su qualcosa di oscuro e corrotto è irresistibile; l’enigmatico diamante scintilla come un emblema cristallino sia di grandiosa ricchezza che di malvagità”.

Giulia De Sanctis

Laureata in Comunicazione e Valorizzazione del Patrimonio Artistico Contemporaneo, collaboro attivamente con riviste e testate web del settore culturale, enogastronomico, tempo libero e attualità.

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Giulia De Sanctis

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