La (pessima) abitudine di controllare troppo il telefono si ripercuote sulle interazioni sociali, danneggiandole: come evitare il phubbing
Molto spesso, per qualificare il grado di interesse di una persona nei nostri confronti, quantifichiamo il tempo che quest’ultima ha passato al cellulare durante la conversazione. È diventato, infatti, quasi un tic incontrollabile quello di premere, almeno una volta nel bel mezzo di una chiacchierata tra amici e colleghi, il display dello smartphone per controllare le notifiche. Alla faccia delle buone regole relazionali. Già, perché non prestare attenzione a una persona che ti è davanti, preferendo lo schermo del cellulare, non significa semplicemente ignorarla. Infatti, al giorno d’oggi, lo snobismo ha raggiunto un livello 2.0: si tratta del cosiddetto phubbing.
Nello specifico, il termine “phubbing” rappresenta la crasi, vale a dire l’unione, di due parole inglesi: da un lato snubbing, che deriva dalla forma colloquiale “snub”, cioè “snobbare”, dall’altro phone, ovvero “telefono”. Pertanto, con phubbing si fa dunque riferimento alla situazione – ormai all’ordine del giorno – in cui una persona privilegia l’interazione con il proprio smartphone rispetto a quella con gli altri individui presenti. Infatti, chi si distingue per un simile atteggiamento può trascurare del tutto l’interlocutore fisico della conversazione a favore del suo dispositivo digitale, che viene controllato compulsivamente e di continuio, anche quando non ve n’è alcuna necessità.
Cosa si intende per phubbing
“Metti via il cellulare a tavola”. “Non guardare il cellulare mentre ti parlo”. “Ma mi stai ascoltando?!”. Tutti rimproveri tipici per un “phubber”, che quasi non sembra accorgersi della sua irrispettosa “snobberia”. Ma per le persone ignorate non deve essere molto piacevole venire sostituiti da un dispositivo digitale. Non sorprende quindi che nel 2013 è stata avviata la campagna online – attiva ancora oggi – chiamata “Stop Phubbing”, con l’obiettivo di sensibilizzare i cosiddetti “dipendenti del telefonino”, prendendone in giro le compulsive abitudini poco cortesi.
Scherzi – cinici – a parte, il fenomeno del phubbing impatta molto il rapporto di coppia, sia amoroso sia amicale, provocando in alcuni casi conseguenze drammatiche nella relazione.
Nello specifico, gli esperti nel campo delle scienze psicologiche hanno riscontrato un problema relazionale figlio dell’avvento del digitale, il cosiddetto “partner phubbing”. Infatti, gli studiosi hanno analizzato l’insorgere dell’impulso di controllare spasmodicamente lo smartphone all’interno della vita di coppia, arrivando alla conclusione che il partner-phubbing sia negativamente correlato alla soddisfazione delle relazioni, dal momento che l’uso di un telefono mentre si è in compagnia del partner si traduce in una situazione in cui si è fisicamente presenti, ma non mentalmente. Pertanto, più si usa il cellulare, meno si è interessati al proprio partner. Da qui, la mancanza di cortesia dell’ignorarlo apertamente.
Ma perché una persona dovrebbe avvertire la necessità impellente di prendere in mano il suo smartphone, senza apparente motivo? Secondo gli studi recenti, all’origine del phubbing sembrerebbe esserci, specialmente nei più giovani, un disturbo dell’autocontrollo, quasi insorgesse la tendenza compulsiva a guardare il cellulare. In particolare, uno studio portato avanti nel 2019 da un team della Aarhus University, in Danimarca, ha constatato che una simile abitudine sarebbe diventata socialmente accettabile, sebbene tutti riconoscano il phubbing come un comportamento molto spiacevole e irrispettoso. A tal proposito, gli autori della ricerca danese menzionano la teoria di acrasia digitale, laddove con il termine greco acrasia vogliono appunto indicare l’incapacità dei soggetti interessati di agire secondo principi ragionevoli.
Sempre nel campo della teorizzazione del phubbing come fenomeno sociale, altri due autori, Varoth Chotpitayasunondh e Karen Douglas, hanno analizzato tale comportamento sotto diverse prospettive, distinguendo due precise scale di impatto. Da un lato, la Generic Scale of Phubbing (GSP) che esamina il phubbing su quattro fattori, ovvero la nomofobia – intesa come la condizione psicologica che può svilupparsi in tutti soggetti che manifestano l’irrazionale paura di rimanere sconnessi, il conflitto interpersonale –, l’autoisolamento e il riconoscimento dei problemi. Dall’altro, la Generic Scale of Being Phubbed (GSBP), che valuta l’esperienza di subire azioni di phubbing su tre fattori: norme percepite, sentirsi ignorati e conflitto interpersonale.
A detta di Chotpitayasunondh e Douglas, falso consenso, reciprocità e frequenza del fenomeno concorrono a rendere il phubbing un comportamento percepito come normale e non dannoso. Socialmente accettato all’interno di un ambiente nativo digitale. Infatti, anche chi subisce il phubbing a sua volta lo attua, passando dal ruolo della vitta a quello del carnefice in un circuito vizioso che si autoalimenta. In poche parole, basta poco e il phubber diventa phubbee, o viceversa, incrementando la frequenza e la reciprocità del comportamento, ampliando l’effetto del falso consenso e uccidendo le relazioni interpersonali.
Lo smartphone: killer di relazioni
Inutile ribadire che ogni relazione sana poggia su una buona qualità della comunicazione tra i partner e, ancora più importante, è il tempo che viene condiviso insieme. In ambito relazione e tecnologia, uno studio del 2021 condotto da Camiel J. Beukeboom e Monique Pollmann ha provato ad analizzare gli effetti negativi del phubbing nelle relazioni sentimentali, con l’obiettivo specifico di indentificarne il nesso con il grado di insoddisfazione relazionale.
Come si è già ampliamene sottolineato, chi subisce un atteggiamento di phubbing è vittima di una sorta di esclusione sociale, dal momento che il messaggio implicito nel comportamento del carnefice è che quest’ultimo non ha la minima considerazione di chi ha vicino nella realtà. Ovviamente, il phubbee reagisce a suo modo, covando sensazioni di rabbia, insoddisfazione e irritabilità. In tal senso, si attiva quindi un circolo vizioso che danneggia irreparabilmente gli equilibri della coppia. Ma non solo. Soprattutto in famiglia, praticare atti di phubbing, preferendo la compagnia dello smartphone a quella del partner e dei figli, può avere gli effetti più deleteri, dal momento che priva gli individui di qualsiasi momento di condivisione.
Le vittime, però, non sono solo coloro che vengono ignorati per un cellulare. Infatti, per chi fa phubbing il pericolo è di scollegarsi completamente dalla vita reale, rischiando sia di deteriorare i propri rapporti sociali, sia di sviluppare una vera e propria dipendenza nei confronti di un dispositivo smartphone.
Macchiarsi di phubbing non vuol dire solo distrarsi, ma soprattutto isolarsi. Un atteggiamento reiterato del genere ha un impatto negativo e abbassa il tono dell’umore, riducendo la qualità della comunicazione e del rapporto interpersonale. Analizzandolo a fondo, questo fenomeno si abbatte sugli stessi bisogni che vengono minacciati quando le persone si sentono socialmente escluse: bisogno di appartenenza, di autostima, di attribuzione di significato e controllo, portando a un vissuto di ostracismo e isolamento.
Come evitare il phubbing?
Ma quindi, cosa si può fare, in una società dove tutti hanno il cellulare in mano, per evitare il phubbing? Secondo gli psicologi e gli esperti, come per qualsiasi situazione di tal tipo, il primo passo per risolvere il problema consiste nel prenderne coscienza. Sta al singolo individuo indagare sulle ragioni per cui indugia in un simile atteggiamento, interrogandosi se sia semplice cattiva abitudine o l’espressione di un disagio profondo. Poi, andando sul piano concreto, si può sempre allentare l’istinto di controllare le notifiche, allontanando lo smartphone. Infatti, per non svalutare la compagnia delle persone con cui si condivide il proprio tempo, può essere utile tenere il cellulare in borsa, in tasca o addirittura in una stanza diversa da quella in cui ci si trova, disattivando anche le notifiche.