È Leonardo DiCaprio, secondo l’Hollywood Reporter, l’ultima star del cinema perché la sua carriera non ha eguali. Scopriamo perché
In questi oltre 40 anni di carriera, Leonardo DiCaprio ha sempre mostrato un rispetto a dir poco sacrale per il suo mestiere, un sogno covato fin da bambino.
Nel 2019 l’Hollywood Reporter, il primo giornale di sempre a specializzarsi sul cinema e testata di riferimento nel panorama statunitense, definiva l’attore americano “l’ultima star del cinema”, non perché l’industria cinematografica è a corto di talenti o di star, ma perché oggi il settore è dominato da un “gruppo intercambiabile di attori che si veste regolarmente in spandex o brandisce una spada laser per l’ultimo guadagno miliardario”, ma DiCaprio non è soggetto al franchise, perché “Leo è il franchising“.
Appena adolescente è già comparso in un programma televisivo per bambini, in diverse pubblicità e nella settima stagione della serie Genitori in blue jeans.
Negli anni DiCaprio non perde mai di vista il suo orizzonte, nonostante i gossip, gli eccessi viziosi e i soldi facili hanno inghiottito diversi suoi colleghi. Le sue idee chiare e una buona dedizione lo hanno aiutato a sublimare un talento globalmente riconosciuto che, quando esordisce al cinema, deve scrollarsi di dosso l’aura del sex symbol per teenager.
Dopo il successo di Titanic nel 1997, DiCaprio si trova ad affrontare una sorta di bivio: da un lato il successo di pacchetti pre-confezionati in pratiche saghe e garantiti da brand cinematografici assodati, dall’altra invece, la strada più tortuosa del talento che lo porta a farsi le ossa di fianco ai mostri sacri del cinema come Danny Boyle, Martin Scorsese – con cui ha un duraturo sodalizio artistico -, Steven Spielberg, Jack Nicholson e Robert De Niro solo per citarne alcuni.
A rendere definitiva la scelta della strada in salita è la risposta del botteghino, che non si limita ad apprezzarne l’ambizione, ma lo consacra come una scommessa sempre vincente.
Sul grande schermo è grazie anche a ruoli eccentrici e megalomani che DiCaprio si impone nell’immaginario collettivo, come quando era nei panni dell’ambizioso broker miliardario Jordan Belfort in The Wolf of Wall Street, dell’intraprendente Frank Abagnale Jr. in Prova a prendermi di Spielberg.
A 28 anni si cala nella malavita organizzata di New York come Amsterdam Vallon in Gangs of New York, primo sodalizio con Scorsese ed è impossibile non menzionare l’infiltrato Billy Costigan in The Departed, l’agente federale Edward Daniels sull’isola di Shutter Island – thriller psicologico firmato da Scorsese – oppure l’estrattore di sogni Dom Cobb nell’onirico Inception di Christopher Nolan.
Doveroso inoltre citare le collaborazioni con Quentin Tarantino, da Django Unchained a C’era una volta a Hollywood, ma a imprimere il suo nome nell’olimpo degli attori contemporanei non sono le eccellenti partnership e i suoi ruoli eccentrici.
Ripercorrendo la carriera dell’attore, dall’inizio ad oggi, con sensibilità, versatilità e perfezionismo DiCaprio intreccia e dipinge con minuzia di particolari vizi e virtù la società americana, dall’Ottocento a oggi; così ogni volta il buon Leo aggiunge, al grande puzzle del cinema, un tassello tridimensionale e sfaccettato.
Solo nel 2016 Julianne Moore gli consegna il primo e a oggi l’unico Oscar, considerato unanimemente come un tardivo riconoscimento più che come un coronamento vero e proprio.
A valergli la statuetta degli Academy Awards come Miglior attore protagonista è The Revenant di Alejandro Gonzàlez Iñárritu che fa incetta di applausi, vincendo anche nelle categorie di Miglior regia e Miglior fotografia.
Il film racconta la storia di Hugh Glass, esploratore e cacciatore di pelli statunitensi nato nel 1783, una figura realmente esistita la cui biografia oscilla fra mitologia e realtà e ricordato soprattutto per un’infausta battuta di caccia fra le gelide sorgenti del Missouri quando viene aggredito da un orso grizzly e lasciato agonizzante dai compagni senza armi né viveri, sopravvivendo, si narra, dopo essersi trascinato per 320 km.
Una storia che richiedeva una buona dose di crudismo per essere raccontata: il regista sceglie lunghissimi piani sequenza girati interamente con le luci naturali, quel pizzico di realismo che ha ulteriormente prolungato i tempi delle registrazioni durate 9 mesi.
Le riprese mettono a prova l’intera troupe, con le durissime condizioni climatiche che arrivano a sfiorare i -40° nella gelida provincia canadese della Columbia Britannica. Lo stesso DiCaprio ha affermato in seguito di aver rischiato in più occasioni l’ipotermia e di aver girato molte scene febbricitante: la bronchite non è un ostacolo ma l’ennesimo stimolo a spingersi oltre il mero compito recitativo e lo aiuta a proiettare sullo schermo tutto il tormentato travaglio del protagonista, provato dal gelo e dalle ferite.
Il risultato finale è crudo, inclemente, brutale e autentico. Difficile rimanere impassibili, anche grazie al fascino incontaminato e irripetibile attraverso un green screen, catturato dal direttore della fotografia Emmanuel Lubezki, l’unico ad aver vinto per tre volte consecutive il premio Oscar nella sua categoria.
A ottobre DiCaprio tornerà sul grande schermo, diretto ancora una volta da Scorsese in Killers of the Flower Moon. Secondo le (poche) indiscrezioni si tratterà di un crime drama di tre ore e 20 minuti su un gruppo di nativi americani negli anni Venti in Oklahoma che consacrerà anche il ritorno sulle scene di Brendan Fraser, insieme a Robert De Niro e Jesse Plemons. Gli ingredienti ci sono tutti e le agenzie di scommesse sugli Oscar 2024 si sono già messe l’anima in pace.
“La natura per me è sempre stata un mezzo per salvarmi” racconta DiCaprio a Forbes in occasione dell’uscita di Don’t Look Up di Adam McKay che, proponendo una riflessione critica sul rapporto fra media, scienza e scetticismo, l’attore è particolarmente a suo agio nei panni del sensibilizzatore delle masse.
Infatti, parallelamente alla sua carriera nel cinema, negli anni DiCaprio si è costruito una solida reputazione anche come ambientalista, staccando di parecchi anni l’insopportabile processo di greenwashing nei media e militando in prima linea, innanzitutto come preparato entusiasta di tematiche naturalistiche.
In questa sua passione l’attore mette il carburante che la sua professione gli procura a pacchi: denaro e visibilità. Nel 1998 fonda la Leonardo DiCaprio Foundation per finanziare innumerevoli progetti, di tasca propria o coinvolgendo i suoi colleghi in aste di beneficenza.
Al centro della sua campagna che oltre a divulgare investe in progetti concreti ci sono il cambiamento climatico, una tematica sulla quale racconta di essere stato sensibilizzato direttamente dall’ex vicepresidente Usa Al Gore, e la biodiversità della foresta Amazzonica.
Non perde occasione di portare anche sul grande schermo la questione ambientale, con documentari di cui si fa voce narrante, protagonista e produttore; Cowspiracy (2014), Punto di non ritorno (2016), L’11esima ora (2017) e Ice on Fire (2019) sono solo alcuni.
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