L’Eurovision Song Contest ha finito spesso per condizionare l’opinione pubblica ben più di quanto abbiano fatto i governi europei
Le tensioni politiche in Europa si ripercuotono spesso anche sulla manifestazione canora più amata del continente: Eurovision Song Contest.
Negli anni l’EBU – l’ente che raccoglie tutte le radiotelevisioni pubbliche europee e che organizza il concorso – ha dovuto dirimere parecchie controversie, trovandosi tra le mani delle vere e proprie bombe geopolitiche pronte a esplodere, vedi il caso del conflitto Russia-Ucraina, che ha portato all’esclusione della Russia nel 2022 e 2023. Ma scopriamo insieme quali sono state le controversie più grandi della storia dell’evento!
Iniziamo con Austria vs Spagna in cui, nel 1969, l’Austria decise clamorosamente di ritirarsi dall’Eurovision (che esisteva da 13 anni ed era già popolarissimo).
L’edizione del ’69 era in programma a Madrid e la scelta del governo di Vienna fu un gesto di protesta contro quello della Spagna, all’epoca in mano al dittatore Francisco Franco.
Nonostante tutto, però, non ci fu mai un vero e proprio boicottaggio dell’EBU nei confronti della Spagna e durante gli oltre 35 anni di regime franchista la penisola iberica partecipò regolarmente alle varie edizioni del concorso, così come capitò successivamente con altri Paesi con regimi totalitari.
Curiosità: l’unico altro atto di contestazione nei confronti della Spagna avvenne nel 2010 a Oslo, quando Jimmy Jump, noto disturbatore catalano, invase il palco durante la performance del madrileno Daniel Diges.
Nonostante l’esito bellico la Germania dell’Ovest partecipò all’Eurovision Song Contest fin dalla sua fondazione nel 1956, mentre quella dell’Est venne esclusa dalla competizione e si accontentava di un concorso parallelo organizzato da tutti i Paesi europei comunisti, ovvero l’Intervision Song Contest, che si tenne quasi ogni anno in Polonia dal 1960 al 1980.
Oltre alle nazioni del blocco sovietico, in gara all’ISC ci furono anche diverse nazioni filo-occidentali come il Canada, l’Olanda o il Belgio.
Dal 1994, qualche anno dopo la caduta del muro di Berlino, diverse repubbliche ex sovietiche partecipano regolarmente all’Eurovision Song Contest.
Le loro posizioni in musica, però, spesso riflettono le posizioni dei rispettivi governi in politica: se ci sono quindi Paesi smaccatamente filo-russi come la Bielorussia, ad esempio, c’è anche chi è decisamente anti-sovietico, come la Georgia (che è stata in guerra con la Russia nel 2008 per il controllo dell’Ossezia del Sud).
Nel 2009 la band che la rappresentava, Stephane and 3G, arrivò in gara con una canzone dance intitolata We Don’t Wanna Put In. Il gioco di parole con il nome di Putin era chiarissimo, tanto che l’EBU minacciò di squalificare il brano a meno che la Georgia accettasse di cambiarne il testo. La tv pubblica nazionale, la GPB, rifiutò di apportare qualsiasi modifica, e decise infine di ritirarsi dalla competizione.
Nonostante la secessione del 1991, la Jugoslavia continuò a presentarsi come fronte unito anche nel 1992, quando in piena guerra civile ci fu comunque un concorso nazionale per decidere chi mandare a rappresentare l’ormai ex Paese (alla fine fu la cantante serba Extra Nena).
Dall’anno successivo, però, la Jugoslavia fu bandita dall’Eurovision a causa delle sanzioni ONU, e le varie repubbliche balcaniche come Serbia, Croazia, Bosnia e Montenegro cominciarono a presentarsi in gara alla spicciolata e in autonomia. Ad oggi, l’unica nazione balcanica che non è ancora riuscita a qualificarsi per il contest è il Kosovo.
Una storia infinita è quella dell’Armenia vs Azerbaijan: da anni in lotta per il controllo di un territorio, il Nagorno-Karabakh, abitato da un’enclave armena ma politicamente sotto il controllo dell’Azerbaijan, le due nazioni si sfidano a colpi di canzoni e gesti plateali sul palco dell’ESC.
Nel 2005 e 2006, l’Armenia cercò di inserire nelle sue cartoline e nelle biografie ufficiali il Nagorno-Karabakh come regione dell’Armenia, spingendo l’Azerbaijan a una protesta formale (accolta).
Nel 2009, numerosi cittadini azeri che avevano votato per il concorrente armeno furono prelevati dalla polizia di Baku e interrogati con l’accusa di gesti anti-patriottici: stavolta fu l’Azerbaijan a essere multato dall’EBU.
Nel 2012 l’Armenia si ritirò dalla gara e numerosi artisti armeni firmarono una lettera aperta invitando i colleghi europei a boicottare l’Eurovision di quell’anno, che doveva tenersi proprio in Azerbaijan.
Nel 2015, rientrata in gara, l’Armenia presentò una canzone dal titolo Don’t Deny (letteralmente “non negare”), relativa al genocidio armeno mai riconosciuto dagli azeri: l’Azerbaijan protestò e il titolo vene cambiato in Face the Shadows.
Nel 2016 il team della concorrente armena, Iveta Mukuchyan, sventolò in diretta una bandiera del Nagorno-Karabakh, spingendo l’EBU a multare l’Armenia. E questo è solo il capitolo relativo all’ESC “per adulti”: vi risparmiamo quello sulle controversie azero-armene del Junior Eurovision, la versione under 15 del concorso.
Da sempre, macedoni e greci rivendicano per sé l’utilizzo del nome Macedonia. I primi sostengono che sia loro diritto chiamarsi così, visto che la regione storicamente è quella, mentre i secondi ritengono che la Macedonia si estenda fino a sud, lambendo una porzione di territorio della Grecia, e che quindi l’appellativo di macedoni genererebbe confusione.
Dopo anni di scontri, nel 2019 le due nazioni hanno firmato finalmente un accordo il cui mediatore è stato proprio l’EBU: in tutte le competizioni dell’Eurovision, infatti, il Paese balcanico verrà da allora in poi chiamato Macedonia del Nord.
La presenza di Israele in gara ha portato parecchio scompiglio nell’EBU: nel 1978, quando vinse per la prima volta, molti Paesi arabi mandavano in onda la manifestazione, popolarissima anche fuori dall’Europa, ma non riconoscendo la sovranità nazionale di Tel Aviv interruppero le trasmissioni per non mostrare la cerimonia di premiazione.
Prima di allora si erano limitati ad andare in pubblicità durante la performance dei concorrenti israeliani, ma con il passare degli anni le controversie legate alle vittorie di Israele non hanno accennato a placarsi: nel 2019, quando il concorso è stato organizzato a Tel Aviv, diversi gruppi di pressione pro-Palestina hanno cercato di organizzare un boicottaggio internazionale dell’evento, con star come Roger Waters schierate in prima linea. Nonostante tutto, però, ESC 2019 si è svolto senza incidenti.
Ad oggi ci sono tanti Paesi membri dell’EBU in cui i diritti umani e la libertà di espressione sono una questione piuttosto opinabile.
Eurovision Song Contest, però, è un concorso orgogliosamente e tradizionalmente queer-friendly, il che ha causato parecchi incidenti diplomatici negli anni.
Le proteste più clamorose si ebbero con l’ingresso in gara di Conchita Wurst, la barbuta drag queen austriaca che vinse l’edizione del 2014.
Il messaggio di inclusione che promulgava non era apprezzato da svariati governi, in particolare da quello turco: da circa dieci anni, infatti, la Turchia non partecipa più al concorso, arrivando addirittura a non trasmetterlo in tv nonostante la sua popolarità. Un portavoce del presidente Erdogan ha citato la presenza di concorrenti come Wurst tra i motivi di questo boicottaggio.
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