Titolo: La storia di Souleymane, quasi un sequel di “Io capitano”
Nel panorama del cinema contemporaneo, sempre più spesso assistiamo a narrazioni che cercano di catturare e rappresentare le sfide e le vicissitudini degli immigrati. “La storia di Souleymane”, il terzo film del regista Boris Lojkine, si inserisce in questo contesto, fungendo quasi da prosecuzione temporale del film “Io capitano” di Matteo Garrone. Mentre quest’ultimo ci introduceva all’arduo viaggio verso l’Europa, “La storia di Souleymane” esplora la complessità dell’integrazione in un nuovo paese, con un focus particolare sulla lotta per ottenere un permesso di soggiorno.
Il film narra la storia di Souleymane (interpretato magistralmente da Abou Sangare), un giovane immigrato dalla Guinea che si trova a Parigi. La sua quotidianità è un incessante tentativo di bilanciare il lavoro di rider, utilizzando la bicicletta e la licenza di un altro immigrato che lo sfrutta, con la sua lotta per ottenere asilo. Ogni giorno, Souleymane deve anche affrontare la sfida di trovare un posto letto in un centro di assistenza statale, una realtà che lo costringe a presentarsi in tempo per evitare di dover dormire all’aperto.
Il contesto emotivo di Souleymane è ulteriormente complicato dalla sua vita personale: una relazione a distanza con una ragazza in Guinea che sta considerando di lasciarlo e una madre malata che riesce a sentire solo saltuariamente al telefono. Questi elementi aggiungono un ulteriore strato di ansia e pressione alla vita del protagonista, la cui esistenza sembra essere sospesa in attesa dell’importantissimo colloquio con l’ufficio immigrazione.
Il film si conclude con questo colloquio, un momento carico di tensione ma anche di speranza, un elemento spesso assente nella rappresentazione della vita degli immigrati in Europa. Questo finale apre una finestra sulla complessa interazione tra individualità e sistemi burocratici, evidenziando come la lotta per l’identità e la legittimazione sia un tema universale e profondamente umano.
La performance di Abou Sangare è stata riconosciuta e celebrata al Festival di Cannes, dove ha vinto il premio per il miglior attore nella sezione Un Certain Regard, oltre al Premio della Giuria. Questi riconoscimenti non solo attestano la qualità del film e della sua interpretazione, ma sottolineano anche l’importanza del tema trattato. In un’intervista, Boris Lojkine ha sottolineato la necessità di affrontare il tema della migrazione con onestà e umiltà, cercando di superare la prospettiva di “uomo bianco” che spesso domina il discorso cinematografico. Il regista ha voluto approfondire e umanizzare la figura del migrante, portando lo spettatore a vivere vicino a Souleymane e alle sue quotidiane sfide.
Il casting del film è stato un processo lungo e complesso, durato circa due mesi, durante i quali Lojkine ha incontrato circa duecento persone a Parigi prima di trovare Abou Sangare ad Amiens. Nonostante Sangare non avesse mai lavorato come rider, molti aspetti della sua vita reale hanno trovato spazio nella narrazione, aggiungendo un ulteriore livello di autenticità.
“La storia di Souleymane” non è solo un film, ma un’esplorazione emotiva e sociale che sfida lo spettatore a considerare le molte sfaccettature dell’esperienza migratoria. Attraverso la lente di una singola vita, Lojkine ci invita a riflettere sulle realtà spesso invisibili che formano il tessuto delle nostre società contemporanee.
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