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Curiosità

L’emoji con pollice in su vale come firma, lo conferma un giudice canadese

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Giuliana Presti

L’agricoltore aveva ricevuto un contratto nel 2021 da parte di una cooperativa che gli chiedeva di consegnare 86 tonnellate di cereali entro una certa data. “Si prega di confermare”, così si concludeva il messaggio e l’agricoltore ha risposto con l’emoji del pollice in su

L’emoji con il pollice in su è stata equiparata a una firma contrattuale. È successo in Canada, nella provincia di Saskatchewana, a un agricoltore che al messaggio di una cooperativa che aveva inoltrato lui un contratto in chat, ha risposto proprio con quell’emoji. Per il giudice quella risposta ha avuto la stessa valenza di una firma, così, quella semplice e apparentemente banale emoji è costata all’uomo oltre 61mila dollari (circa 42 mila euro). “La Corte riconosce che non è un modo tradizionale di firmare, ma in queste circostanze resta valido”, ha dichiarato il il giudice , T.J. Keen.

L’azienda chiede 86 tonnellate di cereali, lui risponde con il pollice in su ma non effettua la consegna

L’agricoltore aveva ricevuto un contratto nel 2021 da parte di una cooperativa che gli chiedeva di consegnare 86 tonnellate di cereali entro una certa data. Si prega di confermare“, così si concludeva il messaggio. L’agricoltore ha risposto a quel messaggio con l’emoji del pollice in su. Quella consegna, però, non è mai stata fatta e l’azienda, che aveva interpretato quell’emoji come un “ok”, ha fatto causa all’agricoltore per violazione del contratto. Considerando che, anche precedentemente l’uomo avrebbe utilizzato quella stessa modalità per siglare l’accordo, secondo la Corte vi erano i requisiti per considerare quell’emoji, in questo caso, come una firma. Il giudice ha sottolineato che “la Corte non può, né dovrebbe, tentare di arginare la tecnologia. È la nuova realtà”.

Foto | unsplash @Wesley Tingey – Socialboost.it

Tuttavia, l’agricoltore ha smentito che l’emoji del pollice su era stata inviata per indicare una risposta positiva alla richiesta del contratto, spiegando che per lui quel pollice in su voleva essere una conferma di ricezione del messaggio.

Questa corte riconosce che l’emoji ‘pollice in su’ è un mezzo non tradizionale per ‘firmare’ un documento, ma comunque in queste circostanze si trattava di un modo valido per trasmettere i due scopi di una firma, non può (né dovrebbe) tentare di arginare l’ondata di tecnologia e dell’uso comune delle emoji”, ha detto il giudice.

Giuliana Presti

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Giuliana Presti

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