L’inno nazionale della Repubblica Italiana è noto a tutti come l’Inno di Mameli, dal nome di colui che ne compose i versi. Goffredo Mameli, patriota morto a soli 21 anni per una ferita riportata durante la difesa della repubblica Romana, è entrato a far parte della memoria collettiva. Ma vi è un altro fondamentale protagonista nella storia del nostro inno, molto meno noto del giovane Goffredo: si tratta di Michele Novaro, autore della musica che ha fatto diventare quei versi l’inno “Fratelli d’Italia” che tutti conosciamo.
Genovese, nasce il 23 dicembre 1818 in una famiglia fortemente legata al mondo del teatro, primo di cinque figli. Il padre Gerolamo è macchinista del teatro Carlo Felice, la madre Giuseppina Canzio è la sorella del pittore e scenografo Michele Canzio. A 11 anni Michele Novaro viene iscritto alla Scuola gratuita di canto, da poco istituita, che diventerà l’attuale Conservatorio Nicolò Paganini. Inizia così la sua carriera di cantante lirico, che lo porta, all’apice della carriera, a Vienna, come secondo tenore nel teatro di Porta Carinzia.
Nel 1847 Michele Novaro torna in Italia, a Torino, dove trova impiego come secondo tenore e come maestro dei cori al Teatro Regio e al Teatro Carignano. Ed è nel capoluogo piemontese, nel giro di poche ore, che Novaro compone il Canto degli Italiani, il cosiddetto Inno di Mameli. Secondo quanto racconta Anton Giulio Barrili, Michele Novaro in quel momento si trova a casa dello scrittore e patriota Lorenzo Valerio. E’ una sera di novembre del 1847. I due vengono raggiunti dal pittore Ulisse Borzino che, arrivando da Genova, mostra al musicista un componimento di Goffredo Mameli. Novaro lo legge e ne rimane subito colpito, abbozza qualche nota, poi corre a casa e porta a termine la composizione, che presto si afferma come uno dei canti patriottici più amati. Barrili tra l’altro riporta nella sua testimonianza la reazione commossa e concitata di Novaro alla lettura dei versi di Mameli e riferisce le sue parole: “So che piansi, che ero agitato, e non potevo star fermo.”
Ma non solo: per sostenere la causa risorgimentale, Novaro organizza diversi spettacoli benefici, ad esempio per raccogliere fondi per “i feriti della guerra d’indipendenza” e per finanziare le imprese di Giuseppe Garibaldi. Lavora poi come impresario teatrale e fonda a Genova fra il 1864 e il 1865 una Scuola corale popolare, ad accesso gratuito e aperta a tutti. Compone numerose altre opere tra cui alcuni canti popolari, altri inni di guerra e un’opera buffa in dialetto genovese, Ö mego pe forza, su testo di Niccolò Bacigalupo.
Nonostante la grande popolarità e l’enorme diffusione dell’Inno di Mameli, Novaro forse per via della sua indole modesta non trae grandi vantaggi economici dalla sua composizione, nemmeno dopo l’Unità d’Italia. Per questo, gli ultimi anni della sua vita sono attraversati da gravi difficoltà finanziarie. Muore a Genova nel 1885. È sepolto nel Cimitero Monumentale di Staglieno del capoluogo ligure, non lontano da Mazzini, dove per iniziativa dei suoi ex allievi gli è stato eretto un monumento funebre.
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