Uno studio rivela che le nonne sono emotivamente più connesse con i nipoti che con i loro figli o figlie. Ecco come si è tentato di scavare dentro alle sensazioni affettive di 50 nonne scatenate dai loro pargoli
La fortunata presenza dei nonni nella vita dei nipoti è spesso collegata al benessere di entrambe le parti, un benessere che si estende anche agli altri membri della famiglia, nel momento in cui i nonni – specialmente le nonne – ricoprono un ruolo di “caregiver” per i pargoli, togliendo così più di un pensiero ai genitori. Un caregiver è un familiare (o un aiutante esterno) che occupa un ruolo informale o formale di supporto e vicinanza ad un componente della famiglia, e che è partecipe nelle attività quotidiane di cura di quella persona.
Quello che di conseguenza si va a creare tra nonne e nipoti è un legame speciale, davvero profondo, e ricordato in maniera molto felice e nostalgica nella vita adulta dei “cresciuti”.
In un recente studio della Emory University di Atlanta (Stati Uniti) si sono ricercate le basi biologiche di questa “connessione” speciale intergenerazionale dal punto di vista delle nonne, le cui attività cerebrali sono state protagoniste. L’antropologo James Rilling ha infatti analizzato tramite risonanza magnetica 50 donne diverse, dotate però dello stesso requisito: essere nonne e avere un nipote di età compresa tra 3 e 12 anni. Durante l’esaminazione, lo studioso ha scansionato il loro cervello allo scorrere di diverse immagini, focalizzandosi sulla differenza tra le reazioni davanti a quelle del proprio nipote e a quelle del proprio figlio.
Ha così scoperto che osservare le immagini dei nipoti attivava nelle donne le aree del cervello coinvolte nell’empatia emotiva, mentre di fronte alle fotografie del figlio adulto si “accendeva” in loro l’area associata all’empatia cognitiva. Qual è la differenza? Sempre secondo la ricerca, l’empatia cognitiva è la capacità di comprendere i pensieri e gli stati d’animo dell’altro, mentre quella emotiva crea un legame più profondo e coinvolge il cervello fino al punto da far provare le stesse emozioni dell’altra persona. Come spiega infatti Rilling, questo è ciò che è successo nel cervello delle 50 nonne osservate: “Se il loro nipote piange, sentono il suo stesso dolore e la sua stessa angoscia. Se sorride, provano la sua stessa gioia”.
L’antropologo dello studio sostiene inoltre che i tratti fisici tipicamente sviluppati da neonati e bambini, come morbidezza e rotondità, nel corso dell’evoluzione umana si sono rivelati funzionali ad attrarre emotivamente e cognitivamente non solo il cervello materno, ma anche quello delle loro nonne. Queste infatti, per milioni di anni, sono state fondamentali per le cure parentali, contribuendo a garantire la conservazione della specie. Come in ogni altra specie, tuttavia, l’aspetto “tenero” tipico dei cuccioli scompare con l’età, ed è proprio per questo che l’immagine del figlio ormai adulto proposta durante lo studio non ha suscitato la stessa intensa risposta emotiva.
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