Un gruppo di scienziati ha ricostruito una mappa geologica che spiega le origini di Zealandia, il “continente sommerso” in Oceania
Dopo anni di esplorazioni e ricerche, gli scienziati hanno terminato la mappatura di un continente sommerso che si cela sotto il Pacifico Meridionale: questo blocco di crosta continentale, spinto in profondità milioni di anni fa, è noto come Zealandia, o con il nome indigeno māori Te Riu-a-Māui.
Mettendo insieme campioni di roccia e mappe magnetiche, i geologi hanno gettato luce sull’estensione della Zealandia, nascosta sotto l’oceano che circonda la Nuova Zelanda.
Sette anni fa, il geologo Nick Mortimer e i suoi colleghi avevano rivelato l’esistenza di questo continente per lo più sommerso e nel 2021 ne hanno mappato la porzione meridionale.
Ora, in uno studio pubblicato su Tectonics, gli scienziati hanno completato la mappatura dell’intero continente, per un totale di quasi 5 milioni di chilometri quadrati: “Abbiamo messo la Zealandia sulla mappa”, dice Mortimer, che lavora per l’istituto di ricerca neozelandese GNS Science.
Questo nuovo studio “dimostra che la Nuova Zelanda non è solo un paio di isole”, afferma il geologo James Scott dell’Università di Otago in Nuova Zelanda, che non ha partecipato alla ricerca, “È in realtà un enorme continente, grande quasi la metà dell’Australia, ma per lo più sommerso”.
La Zealandia è un frammento mancante della crosta continentale, afferma la geoscienziata Maria Seton dell’Università di Sydney. Si inserisce come un tassello di puzzle tra gli altri continenti vicini, l’Antartide e l’Australia, è ciò permette ai geologi di studiare come si sia formata e distaccata dalle terre vicine nel corso della sua storia geologica.
Ora che gli scienziati hanno tracciato i confini di questa porzione nascosta della crosta terrestre, possono iniziare a svelare come e perché si è formata, con domande che hanno implicazioni che vanno ben oltre i confini del continente.
Durante una videochiamata, Mortimer tiene in mano una roccia grigia a chiazze grande come un pugno, fatta di granito campionato dalla sua squadra nel 2016, nel corso di un viaggio in un tratto settentrionale della Zealandia.
Durante la spedizione in un sito chiamato Fairway Ridge, a bordo della nave australiana R/V Investigator, i ricercatori hanno dragato centinaia di chilogrammi di granito e campioni sedimentari dal continente sottomarino.
Questi pezzi di granito, spiega Mortimer, vengono frantumati, setacciati e i resti vengono immessi in liquidi pesanti che consentono ad alcuni frammenti di galleggiare e ad altri di affondare.
I pezzi che affondano vengono poi fatti passare attraverso un magnete per separare i minerali magnetici dai “non magnetici”, quelli che i ricercatori cercano. Gli scienziati osservano quindi il materiale rimanente al microscopio e individuano i cristalli di zircone.
Sono proprio questi i minerali di cui vanno a caccia, perché nella loro struttura cristallina è racchiuso un “orologio geologico”.
Confrontando questi cristalli con le rocce già ben studiate della Nuova Zelanda, spiega Mortimer, gli scienziati possono capire quali sono state le masse terrestri che si sono formate insieme. Con un numero sufficiente di campioni, questi minuscoli cristalli – ciascuno lungo circa un terzo di millimetro – possono essere utilizzati per delineare la geologia della Zealandia.
Gli zirconi si sono formati quando il magma vulcanico si è raffreddato e solidificato. La loro composizione chimica comprende l’uranio, un elemento radioattivo, come spiega Rose Turnbull, geoscienziata presso GNS Science e coautrice del nuovo studio.
“Appena si cristallizza, l’uranio inizia a decadere”, spiega Turnbull. Gli atomi di uranio si trasformano in piombo nel corso del tempo e, misurando il rapporto tra i due atomi negli zirconi, gli scienziati possono determinare quanto tempo fa si sono formati.
Il magma nei graniti della Zealandia tende a risalire a circa 100 milioni di anni fa, un periodo che si allinea con la disgregazione del precedente supercontinente.
“Quando in missione sulle navi raccogliamo i nostri campioni, è come fare buchi con uno spillo”, dice Seton. “Dobbiamo usare altri metodi per cercare di unire i punti”.
Per ottenere un quadro più completo, la squadra ha utilizzato la mappatura magnetica: con sensori a bordo di navi, in orbita nello spazio e posizionati sulla terraferma, i ricercatori possono rilevare le anomalie del campo magnetico.
Mortimer e i suoi colleghi hanno cercato le rocce altamente magnetiche, che tendono a essere basalti solidificati di passate attività vulcaniche, e hanno poi creato mappe di queste variazioni magnetiche.
Proprio come il tessuto che copre la statua può dare un’idea generale della sua forma, queste mappe magnetiche fornivano un’idea della Zealandia.
Gli scienziati hanno subito notato che queste rocce magnetiche provenienti da antiche regioni vulcaniche non erano disposte in modo casuale, spiega Mortimer. Erano invece parallele o perpendicolari alle zone di frattura nella profondità della crosta oceanica, nelle aree in cui i continenti si sono allontanati.
Queste aree, afferma, “sembrano essere collegate allo stiramento della crosta del [supercontinente] Gondwana, poco prima che la Zealandia, l’Antartide e l’Australia si dividessero”.
Il puzzle dei continenti
Nel corso dei decenni i ricercatori hanno imparato che la crosta continentale terrestre si evolve su tempi molto lunghi. Segue un ciclo generale: la massa terrestre si compatta in un supercontinente, poi il supercontinente si spezza in diversi continenti più piccoli, quindi la massa terrestre si riunisce di nuovo e il ciclo continua per centinaia di milioni di anni. Tra circa 250 milioni di anni, secondo gli scienziati, i continenti si fonderanno di nuovo insieme.
Circa 300-250 milioni di anni fa, il supercontinente era Pangea, composto da due parti più piccole: quella meridionale, Gondwana, e la porzione settentrionale, Laurasia. Circa 200 milioni di anni fa ciascuna di queste parti ha iniziato ad allontanarsi l’una dall’altra.
“Quando questi “pezzi” si dividono, si formano nuovi confini di placca e i continenti si separano, allungando la crosta continentale e rendendola più sottile”, spiega Seton.
Circa 100 milioni di anni fa si andava creando una spaccatura all’interno del Gondwana, nel punto in cui l’attuale Zealandia incontra l’Antartide e l’Australia, frattura che ha scatenato un’intensa attività vulcanica.
Questo processo ha riscaldato la crosta che ha continuato ad allungarsi “come fosse l’impasto di una pizza”, dice Mortimer, fino a circa 60 milioni di anni fa.
Poi l’area iniziò a raffreddarsi e l’attuale Zealandia divenne più densa e sprofondò nell’oceano, fino a essere quasi completamente sommersa, circa 25 milioni di anni fa, spiega Mortimer.
Oggi, solo il cinque per cento del continente totale emerge dall’acqua: le isole della Nuova Zelanda, della Nuova Caledonia e alcune isole dell’Australia.
La parte settentrionale della Zealandia è ancora collegata all’Australia, mentre quella meridionale è fortemente legata all’Antartide.
Per saperne di più su queste giunzioni e sulla storia geologica che possono rivelare, saranno necessari altri campionamenti e ulteriori analisi.
I ricercatori, dice Seton, hanno già dragato più di 50 campioni nel corso di una missione nel 2019 e stanno ancora esaminando i dati.
“Se si guarda ora, Zealandia è una specie di fotografia sfocata. Con ulteriori campionamenti diventerà più chiara”, conclude Scott. “Alla fine l’immagine è diventata visibile, ma resta ancora sotto un chilometro d’acqua”.
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